Quando cadono le stelle. Intervista a Gian Paolo Serino

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quando-cadono-le-stelle-g-paolo-serino-1Non tutti i romanzi possono essere considerati letteratura e non tutti gli scrittori hanno la capacità di dilatare il vero fino a realizzarne un’opera d’arte. Gian Paolo Serino, col suo attesissimo esordio, Quando cadono le stelle (Baldini&Castoldi, pp. 216, euro 15), ci riesce e scrive un romanzo corale sull’implosione della società dello spettacolo. Attinge a fatti realmente accaduti e rivela l’altro volto del successo di alcuni celebri personaggi del mondo dell’arte, del cinema e della letteratura.

Incontriamo il più grande artista del mondo – Picasso – che durante l’occupazione nazista rende immortale la figlia della donna di servizio di un hotel su una spiaggia di Juan-les-Pins, in Francia. Conosciamo meglio un attore famoso, alcolizzato e depresso nella vita privata ma considerato il simbolo del «sogno americano» in pubblico – Cary Grant – che riceverà una notizia che gli sconvolgerà la vita. Ci indigniamo per la storia di una ragazza vitale e ribelle che, negli anni Quaranta, è sottoposta per volere del padre a un intervento di lobotomia frontale. Assistiamo alla dipartita di uno dei più grandi scrittori del Novecento che, puntandosi la canna del fucile in bocca, mette fine alla sua esistenza. Confidiamo nel sentimento di un giovane scrittore newyorchese – Salinger – che s’innamora della figlia di un Premio Nobel per la letteratura. Una relazione tormentata che lo sconvolgerà al punto da pubblicare uno dei libri più venduti al mondo. E scopriamo la storia di un funzionario di una compagnia di assicurazioni che si occupa di sicurezza sul lavoro; conosce una cameriera in un bordello di Praga e, grazie a lei, trova il modo per salvare l’umanità.

Una galleria di storie, diversissime tra loro, narrate ora in prima ora in terza persona, piccoli capolavori che a lettura iniziale hanno il sapore di un racconto e rivelano invece il respiro di un romanzo perché accomunati da un unico lamento: sommesso, straziante, universale. Saranno le pagine finali a restituire al lettore una visione d’insieme e allora non ci sarà più alcun dubbio: Quando cadono le stelle è un romanzo. Potente e ardito. Un romanzo che apre le ferite di alcuni artisti (o di persone a loro vicinissime), ferite che nessuno conosce e che Serino rende luminose. L’autore libera alcuni personaggi dal loro stesso stigma, ne attraversa le contraddizioni e ne rivela l’essenza. Imbattendosi nella scrittura di Gian Paolo Serino, si ha la sensazione di essere sempre un passo avanti, sempre un po’ altrove e oltre questo nostro tempo. Di capitolo in capitolo, si assiste incantati alla molteplicità delle esperienze espressive, alla quantità e alla varietà dei registri. Un romanzo stratificato e complesso Quando cadono le stelle, reso fluido da una scrittura cristallina e spietata che racconta senza sconti le vite degli artisti, restituendone la grandezza e la desolazione. Una scrittura dolorosa che, come scrive Walter Siti, “scavalca l’arte e ci parla della tragedia di chi capisce troppo per continuare a vivere”.

Elisa Giacalone

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L’ultima volta che ti ho intervistato, circa quattro anni fa, alla domanda “Di quale romanzo si sente oggi la mancanza?” hai risposto senza esitazione: “Il romanzo che manca è quello che devo scrivere io!” e quel giorno sembra essere arrivato: dal 19 maggio Quando cadono le stelle(Baldini&Castoldi) sarà in tutte le librerie. Soddisfatto del risultato?

A essere soddisfatto dovrà essere il lettore, non io. Io non ha tanta importanza: “io, è un altro”. Ed è chiaramente un romanzo “Satisfiction: soddisfatti o rimborsati”: se il lettore rimane deluso dalle aspettative che ho creato e mi motiva da cosa si discosta la sua visione, rimborso il prezzo di copertina.

Da dove nascono le storie che hai scelto di raccontare?

Le ho raccolte in oltre vent’anni: come appunti, disegni, frasi sparse. Episodi del tutto sconosciuti in Italia, inediti, tranne forse due, che diventano un romanzo non sulla società dello spettacolo, ma sulla sua implosione. È quindi una radiografia d’inchiostro sui nostri giorni (im)mediati: la sofferenza che non ha più interstizi dove confluire se non forse nella “televisione del dolore” . Ormai siamo stati tutti ridotti ad attori e spettatori, a vittime e carnefici.

Più che un romanzo, Quando cadono le stelle si presenta come una raccolta di racconti, per lo più storie realmente accadute, ricostruite attraverso una tua ricerca testimoniata anche dall’ampia bibliografia riportata nelle ultime pagine. Si ha la sensazione di una giustapposizione di racconti i cui fili si ricongiungono solo nell’ultimo capitolo. Qual era la struttura originale?

L’impressione è esattamente quella di una raccolta di racconti. Ma non lo è. È un romanzo: non solo per l’ultimo capitolo che, a sorpresa, svela il senso del romanzo, ma perché proprio l’ultimo capitolo fa intuire che è un romanzo corale dove ogni protagonista ha una propria voce. E di conseguenza la scrittura vuole dare anche una voce emotiva a ogni personaggio attraverso uno stile diverso.

Il primo dei vari personaggi che incontriamo è Picasso. È la storia più compiuta, quella da cui si dipaneranno tutte le altre. Sembra anche la più lavorata, sia per il personaggio sia per lo svolgersi della narrazione. È così? È stata la prima che hai scritto?

Sì, tutto parte da lì. Da quella storia, da quel personaggio, da quella “solitudine dei numeri primi”, un titolo che amo moltissimo e che mi sarebbe piaciuto usare se non lo avesse già fatto Paolo Giordano. Con il primo capitolo si disvela il senso dell’intero romanzo, ma è talmente evidente la metafora che racconto che sfugge se non quando arrivi alla fine.

Alcune storie alternano più punti di vista: in Picasso c’è la prima persona ora dell’artista, ora di Suzanne, come ad alternare le prospettive e a ricercare un dialogo tra i due; ci sono poi storie narrate in prima persona e in terza come in Salinger e Oona, ci sono anche talvolta degli inserti in corsivo che danno uno spaccato dell’epoca. Trovare la voce, scegliere il punto di vista è stato un interrogativo che ti sei posto ogni volta, oppure in ogni storia è successo da sé, guidato più dall’ispirazione che non dalla ricerca di una prospettiva sempre diversa?

Io credo molto nel cambio di registro narrativo: l’intrecciarsi delle voci narranti e dei protagonisti, come accade anche in Stephen King o in Cary Grant, secondo me rende più interessante la lettura. Per quanto riguarda Salinger, ci tengo a precisare che protagonista non è la loro storia d’amore, conosciuta, ma lo svelamento di un interrogativo che muove tutto Il giovane Holden: “Dove vanno le anatre in inverno”? È un interrogativo che ha suscitato da sempre molte domande. Il racconto risponde a questa domanda.

L’aspetto della solitudine come filo conduttore del romanzo era nelle tue intenzioni o è un esito di cui ti sei accorto solo a romanzo compiuto?

La solitudine forzata, non quella cercata, anelata, bramata, è la nuova condizione dell’essere (umano). Sin dall’inizio l’ho voluta raccontare proprio perché è al centro del nostro quotidiano. Siamo tanti soli, insieme.

Hai dichiarato più volte: “Uno scrittore, prima di pubblicare, dovrebbe pensare che si sta trovando davanti a un patibolo e non esisterà un’altra volta. Un’altra volta è per i narratori, non per gli scrittori”. Tu adesso ti senti uno scrittore?

Per adesso mi sento ancora davanti al patibolo. La mia testa è nel libro. Al lettore raccoglierla.

Spesso hai affermato: “Il problema degli scrittori di oggi è che non vogliono scrivere ma pubblicare”. Perché questa fame di pubblicazione, secondo te? Riflette i nostri tempi o è sempre stato così?

È sempre stato così. Non so. Ho molti dubbi sul “pubblicare”. Come scrive Balzac in “Papà Goriot” pubblicare “è come parlare dei fatti propri davanti alla servitù”. Non credo sia cambiato molto. Non comprendo l’impellenza di pubblicare che hanno tanti. Non a caso ho aspettato vent’anni.

Sii critico del tuo stesso romanzo: perché leggerlo?

Per chiedermi il rimborso.

Uno dei tuoi must, che ti ha poi portato nel 2008 a fondare Satisfiction con Vasco Rossi come editore, è rifuggire dal “marchetting”, quella pratica ibrida tra marketing e marchetta che ormai imperversa nella stampa. Questa intervista, secondo te, è stata marchetting?

Credo che la storia di Satisfiction, che è la mia e quella di tutti i collaboratori, dimostri che siamo sempre in prima linea contro il “marchetting”. Infatti, non ho abusato del portale che ho fondato. Sono coerente: comprate il romanzo e non vi piace rispetto alle promesse della copertina? Vi rimborso il costo. Io sono qui: sapete dove trovarmi.

da Satisfiction