Non un romanzo, ma un taglio d’inchiostro alle nostre anime al neon, un romanzo straordinario che ferisce a ogni pagina facendoci comprendere come molte vite siano spesso soltanto delle finzioni.
Giorgio Falco, già apprezzato con la pubblicazione de “L’ubicazione del bene” (in realtà una versione italiana del “Capitale umano” di Stephen Amidon) è riuscito nell’impresa di consegnarci un capolavoro che resterà nella storia della letteratura. Perché Falco, raccontando la storia di una famiglia tedesca dal 1930 ai nostri giorni, riesce a fotografare la Storia di un Novecento che, in troppi, non hanno ancora compreso.
Falco ci racconta, in forma romanzata, come l’ascesa del nazismo non sia soltanto l’affermarsi di un sistema totalitario, ma di un sistema che ha completamente cambiato il nostro rapporto con la vita. Con il nazismo, e il fascismo in Italia, si sono instaurati quei germi che sostengono la democrazia (cristiana) dei nostri giorni: una società passata, con buona pace di Guy Debord (e dei vari Virilio e Baudrillard) da “società dello spettacolo” a una società della merce.
Tutto oggi è merce: persino l’amore, gli affetti più stretti, la famiglia, per non parlare delle nostre relazioni sociali, del nostro immaginario collettivo, dei nostri ideali trasformati in ideal(i) standard. Certo già Pasolini ci aveva raccontato, nei suoi “Scritti Corsari” del nuovo “fascismo consumistico” (per non parlare di Luciano Bianciardi), già Walter Benjamin descrivendo i “Passages” parigini (i primi grandi magazzini) ci aveva parlato di “merce intrisa di utopia”, ma Falco riesce a far sua questa sociologia della deriva, per regalarci un romanzo devastante.
Leggere questo romanzo è come graffiare le unghie contro un vetro, è come veder crepare l’immagine riflessa dei nostri vetri: in realtà è un romanzo di pura, sincera e ed estrema violenza. Un grido d’accusa contro un sistema che alla propaganda ha sostituito il prodotto finale. E quel prodotto siamo noi.
Il consumismo di massa è riuscito a compiere quel “miracolo economico” che nemmeno il fascismo era riuscito a compiere. Non viviamo, ad esempio, nell’incubo da “Grande Fratello” profetizzato da George Orwell, anzi: come scrisse profeticamente Aldous Huxley nel romanzo “Il mondo nuovo” nessuno ci incatena attraverso delle punizioni, ma ci tengono al gioco attraverso i piaceri. E “un divertirsi da morire” (parafrasando il grandioso saggio dell’americano Neil Postman su questo tema) che ci porta a compiere i gesti più disperati senza neanche permetterci di rendercene conto.
La famiglia, al centro della trama del libro di Falco, diventa la metafora di tutti noi, di tutto quello che non vogliamo vedere, che non vogliamo diventare, ma che siamo già. Ed è un romanzo scritto con rara maestria. Attraverso i continui cambi di registro narrativo (una tecnica molto francese), il cambio a ogni pagina dell’io narrante, ma soprattutto attraverso una prosa ipnotica. Lo stile ricorda molto quello di Agota Kristof, ma è così potente da non poter essere paragonato a nessun epigono. Certo non siamo, come si legge in quarta di copertina ai livelli de “I Buddenbroock” (tra l’altro in quarta di copertina è scritto Buddenbrock, con una o sola), ma senza dubbio è un romanzo scritto da un genio. Un romanzo da leggere. Un romanzo che più che tracce, lascia lividi. Fatevi del male, leggete Giorgio Falco. E state male.
Gian Paolo Serino
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