Tre storie, tre modi di amare. Punta sull’amore multiforme Fabrizio Palmieri nel suo romanzo d’esordio, “Di amori diversi” (Ad est dell’equatore, pp. 183, euro 14).
I protagonisti del romanzo – un prete, un recruiter e una transgender – si conoscono in Sicilia, in una Taormina raggiante di luce (“Sopra Isola bella, Taormina splendeva delle sue luci gialle: una colata d’oro in un cielo via via più chiaro”).
Don Gualtiero McKenzi, (“occhi azzurri, capelli rossicci corti, quarantadue anni di età e sedici di sacerdozio, figlio di un irlandese facoltoso e una emigrata messinese”), conosciuto come Irish Devil, è stato da poco trasferito dal Duomo di Taormina a una chiesetta sulla scogliera, a causa delle sue prediche ardite.
Lì vive Sharon, una transgender, l’anima gay di Taormina. Sopravvissuta ai pregiudizi e alla vita di provincia, Sharon ha intrapreso il suo percorso per diventare donna e ci sta riuscendo, si sente finalmente libera di amare e di scegliere.
Emiliano Montagnelli, recruiter, è il meno eccentrico tra i personaggi: è stato lasciato dalla sua ragazza, Claudia, e cerca un lavoro che possa coniugare le sue capacità con le sue passioni. La sua aspirazione è lavorare nel management di cibo e bevande, materia nella quale si sente – a ragione – un fuoriclasse. La sua croce è quella, invece, di lavorare come recruiter per una società specializzata in reclutamento di ingegneri.
Don Gualtiero, Sharon ed Emiliano si incontrano al “Rossorubino”, il famigerato locale gay taorminese di cui Sharon è titolare.
Ed è proprio al “Rossorubino”, luogo simbolo di trasgressione, ostentazione, sperimentazione che i tre saranno messi alla prova costruendo, ciascuno a modo loro, un percorso di conoscenza alla ricerca della propria identità. Ad aiutarli nell’impresa, senza esserne consapevoli, saranno Monsignor Magretti e suor Asia. Monsignor Magretti non vede l’ora di vendicarsi di Don Gualtiero, suo ex compagno di seminario, e gli assegnerà una perpetua pia e devota, suor Asia, affinché lo controlli e gli possa riferire le mosse del prete. Sorella Asia dapprima rimarrà basita dalle abitudini di don Gualtiero, ma poi parteciperà anche lei alle serate al Rossorubino.
A far da sfondo alle vicende dei protagonisti una Sicilia viva, animata da uno spirito alacre e spesso irriverente, testimoniato dalla lingua di alcuni personaggi che si esprimono con i racconti della saggezza popolare e con i proverbi che infarciscono ogni conversazione (“arbulu chi ‘un fa frutta, taglialu di sutta”, “cu picca avi, caru teni”, “bellu tempu e malu tempu ‘un dura sempri un tempu”).
Il romanzo d’esordio di Fabrizio Palmieri, avvocato messinese, classe 1970, è un romanzo godibilissimo, sottile e insieme viscerale sui misteri della bellezza e del desiderio, della delusione e del riscatto. Misterioso è anche l’amore che serpeggia tra le pagine e sfugge a ogni tradizionale connotazione: l’amore anticonformista di Don Gualtiero per Dio, l’amore eterosessuale di Emiliano che fatica a trovare un coronamento, prima con Claudia e poi con Amelia, l’amore di sorella Asia, rinnovato per il suo dio e poi ritrovato per se stessa, e poi c’è l’amore di lei, Sharon. L’amore per la sua femminilità, per il suo corpo che è ancora in transizione. E se la gente la vede come “un uomo con le tette”, lei è invece felice di definirsi transgender, di avere attraversato i luoghi comuni, le chiacchiere pruriginose della provincia e di essere diventata la dea del suo locale, il Rossorubino.
È un romanzo, quello di Palmieri, sulla scoperta della propria identità e sulle difficoltà, le contraddizioni, le complessità che questo viaggio porta con sé. A tutti i personaggi, nelle prime pagine, manca qualcosa: ognuno di loro cerca una tensione, un’attrazione misteriosa e – a tratti – inquietante che metta a rischio qualsiasi parvenza di stabilità. E quel qualcosa, prima cercato, poi quasi bramato, sarà trovato da ognuno di loro. Come Sharon che adesso non ha più paura del futuro e comprende finalmente alcune delle teorie declamate da don Gualtiero: “La felicità non sta nelle cose conquistate, ma nell’assenza della paura di perderle”.
Elisa Giacalone