Diciannovesimo anniversario della morte di Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta. Cominciamo proprio da un ricordo. Lei lo ha incontrato per la prima volta nel 1980, nella notte tra il 4 e il 5 maggio. Cosa ricorda di quella notte?
Io ho conosciuto Paolo Borsellino in una notte tragica, quando a Monreale hanno ucciso il capitano dei Carabinieri, Emanuele Basile.
Il dottore Borsellino era il giudice istruttore che seguiva un’indagine, iniziata da Boris Giuliano e proseguita poi da Basile, io l’ho incontrato in un corridoio dell’ospedale civico di Palermo, proprio nel momento in cui il cadavere del capitano usciva dalla camera dell’ospedale. Era appoggiato al muro, piangeva. Lì conobbi Paolo Borsellino.
“Una parte del paese – ha dichiarato il Procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia – non vuole conoscere la verità sui misteri italiani, come la strage di via D’Amelio”.
Sicuramente una parte del Paese, ha ragione il Procuratore Ingroia, non vuole conoscere la verità ma soprattutto c’è una parte di Stato italiano che non ci vuole fare conoscere la verità. C’è una parte di Stato che la cerca e una parte di Stato che cerca di nasconderla. Come è accaduto per la strage di via D’Amelio, è accaduto anche per Capaci e per tantissimi altri delitti eccellenti di Palermo e – se vogliamo allargare lo sguardo – anche per le stragi rosse o nere e per gli attentati ai treni al nord degli anni Settanta. La strategia della tensione non era al nord, non era opera soltanto di terroristi di un colore o dell’altro colore. La strategia della tensione mafiosa non è stata ispirata solo dai mafiosi.
Adesso è la Procura di Caltanissetta a condurre l’ultima inchiesta sull’uccisione del magistrato. La svolta è attesa per settembre. La pista certa è quella della trattativa. Sembra che alla fine di giugno 1992 Borsellino avesse scoperto l’accordo tra Stato e mafia. Come pensa finirà a settembre? Cosa si saprà?
Settembre è una tranche di quell’inchiesta. La Procura di Caltanissetta, negli ultimi due anni, ha praticamente ribaltato l’impostazione delle indagini, ha scoperto dei grandi depistaggi, soprattutto su Via D’Amelio ma anche sull’Addaura, sulla strage di Capaci. Sì è avuto l’impressione in quei mesi che l’indagine andasse avanti celermente. Purtroppo, nelle ultime settimane, mi è parso di capire che si sia un po’ impantanata su un fronte. Non sul fronte della ricostruzione della strage (è stato accertato che non è stata organizzata così come ce l’avevano raccontata diciannove anni fa) ma sul fronte delle complicità “altre”, sui mandanti esterni a Cosa Nostra. Credo che lì le indagini si siano molto rallentate. Ritengo comunque che le indagini andranno avanti, abbiamo scoperto che la ricostruzione fatta da quel falso pentito Scarantino era falsa, i mandanti mafiosi non appartenevano a certi gruppi di Palermo a ovest, ma erano i Corleonesi di Palermo con i boss di Brancaccio. È un primo passo, ho paura che dopo tutto questo tempo la verità giudiziaria sarà difficile da ottenere. Sarà molto più facile ricostruire una verità storica piuttosto che una verità giudiziaria, è passato troppo tempo, non è facile fare un’indagine di quel tipo.
Oggi si parla e si legge sempre di più di mafia. Oggi i cittadini sono più consapevoli?
Sì, al sud. In Sicilia, in Calabria, in Campania, dove i cittadini vivono sulla loro pelle la ferocia, l’invadenza delle mafie, c’è una consapevolezza, c’è il coraggio di ribellarsi, c’è il confine ben netto tra quelli che stanno da una parte e quelli che stanno dall’altra. Purtroppo molti italiani, da Roma in su, non se ne rendono conto o fanno finta di non rendersene conto.
E pensano che sia affare “loro” (dei meridionali)…
Sì, che sia una cosa di noi meridionali. Quando se ne rendono conto, cioè quando rimangono vittime e ne rimangono stritolati, è troppo tardi.
A proposito del ponte sullo Stretto, qualcuno gioca con le parole dicendo che il ponte servirà due cosche e non due coste; è così?
Fino a pochi anni fa, l’idea che la Sicilia potesse non essere più un’isola mi dava sgomento. Ora sono più possibilista. Se uno deve fare una grande opera non può pensare al fatto che ci sono le mafie; è vero che le mafie da anni sono pronte a prendere tutto quello che c’è da prendere (appalti, subappalti, cave, movimento terra) ma il problema è un altro: il ponte, se mai qualcuno lo farà, non deve essere messo nelle mani delle due mafie.
Polemica tra Roberto Saviano e il ministro dell’interno Roberto Maroni. Saviano ha puntato il dito contro la Lega che interloquisce con la ‘ndrangheta. Cosa pensa di questa polemica?
Io non so se sono quelli della Lega che interloquiscono con la ‘ndrangheta. La ‘ndrangheta si è infiltrata al nord, non un anno o sei mesi fa, come pare abbiano scoperto le tv o i media, ma nel ’63 quando sono cominciate le grandi migrazioni mafiose, grazie allo Stato che ha inviato al soggiorno obbligato al confino centinaia, migliaia di mafiosi nelle regioni del Centro, del Nord e del Centro Nord. Io credo che i mafiosi interloquiscano con chi comanda. Leghisti, centro destra o centro sinistra. Le mafie non hanno colore politico.
Elisa Giacalone