Un giallo in salsa rosa. Un caso da risolvere e una coppia in bilico (anzi due).
Lo sfondo è quello del centro storico di Napoli. Colori, lingue, misteri, sentimenti e umorismo sono gli ingredienti del nuovo romanzo di Serena Venditto, Aria di neve, edito da Homo Scrivens e inserito nella collana Dieci. Serena Venditto, già autrice de Le intolleranze elementari (Homo Scrivens 2012, collana Scout), si conferma abile e piacevole penna.
Al centro della vicenda, Ariel Hamilton, traduttrice italoamericana di stravaganti romanzi rosa, abbandonata senza alcuna spiegazione dal fidanzato, Andrea, che di mestiere fa il poliziotto.
Ariel, in preda ai ricordi e all’insonnia, lascia la casa in cui ha vissuto col compagno e, seguendo il consiglio di un’amica, si trasferisce in un appartamento in condivisione con studenti e lavoratori fuori sede.
L’appartamento di via Atri, al 36, accogliente e coloratissimo (tavolo arancione al centro del soggiorno, cinque sedie tutte diverse per forma e colore, angolo cottura verde, divano rosso, scrittoio giallo in camera da letto, libreria lilla, letto azzurro) sarà il luogo grazie al quale Ariel si staccherà dal passato per poi, però, ripiombarci brutalmente.
In casa la accolgono tre coinquilini: un pianista giapponese, Kobe, con il suo italiano sgrammaticato, il sardo-nigeriano Samuel, rappresentante di articoli per gelaterie, e l’archeologa Malù, appassionata lettrice di gialli e detective ufficiale del condominio.
Con loro Mycroft, gatto nero dagli occhi tondi verdissimi, che, col suo fiuto felino, aiuterà gli abitanti della casa a sbrogliare più di una matassa. La misteriosa morte di una vicina, Teresa, complicherà la vita dei cinque coinquilini – gatto compreso – che si ritroveranno a rincorrere un assassino, sospettando talvolta l’uno dell’altro. A seguire le indagini, Andrea, che si imbatterà nella sua ex, sulla scena del delitto.
La scrittura di Serena Venditto è frizzante e rapida. Attraverso i dialoghi, sempre vividi, e i personaggi, eccentrici e ben delineati, credibili pur nella loro stramberia, l’autrice catapulta il lettore da un universo linguistico e culturale all’altro, in una Napoli cosmopolita, dove nel caos regna la serenità e nella mescolanza di lingue l’armonia. Una scrittura disinvolta, dalla comicità garbata, briosa, semplicemente scorrevole, mai noiosa, che inchioda il lettore alle pagine, trascinandolo fino all’ultima.
Sebbene la costruzione della vicenda si riallacci al filone del giallo classico, alla Agatha Christie o alla Conan Doyle, lo stile invece se ne allontana, strizzando l’occhio alla commedia all’italiana. Ciò che resta, una volta completata la lettura, non è solo l’appagamento per la scoperta dell’assassino, ma anche un “profumo diverso intorno a te” che Kobe, uno dei coinquilini di via Atri, chiama “aria di neve”.
Aria di neve è anche il titolo di una canzone di Sergio Endrigo, successo poi rivisitato da Franco Battiato. Nasce dalla musica il titolo del tuo libro?
Il titolo del romanzo è nato quasi per caso, mi sono sorpresa a dirlo una mattina di freddo intensissimo e mi piaceva il suono di quelle tre parole. Oltre al suono, mi piaceva l’idea: l’aria di neve è una sensazione fisica, qualcosa che ti pizzica le guance, ti gela la schiena e ti avverte che qualcosa sta per accadere. È un segnale. La nostra vita, soprattutto quella sentimentale, è costellata di questi segnali. Non sempre, però, siamo in grado o vogliamo raccoglierli. Il collegamento con la canzone è venuto molto dopo, quando già avevo deciso, e non ha fatto altro che aiutarmi a confermare la scelta.
Hai esordito con una commedia rosa, Le intolleranze elementari, nel 2012. Anche in Aria di neve, è presente in qualche modo il ‘rosa’. Cosa accomuna i due testi e cosa li distingue in modo netto?
Le intolleranze elementari è ambientato in un bar e racconta l’amicizia di tre donne, Aria di neve è ambientato in una casa dove abitano quattro ragazzi e un gatto: di certo è in comune un’attenzione particolare all’amicizia, all’idea di gruppo, di mini comunità. L’amicizia, per me, è molto più interessante da raccontare rispetto all’amore, presenta delle dinamiche più avvincenti.
Poi, in entrambi, c’è molto spazio per il colore, mi piace che quello che scrivo sia vivido, presente agli occhi di chi legge: nel primo, inventavo tonalità azzurro sogno-ben-riuscito o rosso pistacchio (“un rosso così intenso che se fosse verde sarebbe verde pistacchio”); in Aria di neve, ogni oggetto della casa ha un colore diverso, persino gli stessi abitanti.
La differenza fra i due è sicuramente nel ritmo della storia, in una trama più complessa, con più personaggi (umani e felini) e anche in un contesto narrativo più marcato e più presente nella narrazione: Napoli. Per di più, qui “ci scappa il morto”: una bella differenza.
Alla fine degli anni Sessanta, due commedie d’autore, pur nei loro risvolti farseschi, riportano il giallo-rosa all’italiana sugli schermi televisivi: Italian Secret Service di Luigi Comencini e Toh, è morta la nonna! Di Mario Monicelli. Che rapporto hai col cinema di quegli anni?
Ci sono cresciuta. È un tipo di cinema che mi piace, è una forma di comicità che amo moltissimo: mai facile, mai banale, molto giocata sulla parola, sulla situazione, intrisa di ironia e spesso amara.